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“Non si è mai finiti sul lastrico sottovalutando
l’intelligenza del pubblico americano.”
-H.L. Mencken, “Appunti sul giornalismo” (1926)
1 Novembre 2016 (Milos, Grecia) – L’ultima dichiarazione dell’FBI rilasciata dal suo Capo James Comey a proposito della mail di Hillary Clinton è la giusta conclusione di questa schifosa campagna per le elezioni Presidenziali. Un vero scandalo, no? L’ultimo risvolto delle email della Clinton ne ha tutte le caratteristiche. Tra risposte evasive, personaggi misteriosi e indagini dell’FBI, ci deve essere qualcosa sotto. Giusto? Quasi come per le armi di distruzione di massa di Saddam, non possiamo sapere cosa è nascosto e dove, ma di certo sembra che i Clinton ci stiano nascondendo qualcosa.
Però non è del tutto chiaro di cosa stia parlando l’FBI quando dice mail della Clinton. Alcuni resoconti dicono che la Clinton stessa non è né il mittente né il destinatario, e in tal caso ci siamo appena riempiti di aria fritta. Dopotutto, è già noto che l’FBI non sa affatto se le mail riguardino qualcosa di significativo. Quindi, cosa è passato per la testa del capo dell’FBI quando ha buttato giù la sua lettera, Venerdì, dimostrando in modo lampante di non sapere nulla? Di norma, le forze dell’ordine non pubblicizzano di non avere indizi.
E rispetto al fatto che l’FBI non divulgasse di avere evidenti prove dei legami di Trump con la Russia per non “influenzare le elezioni”…ma per favore.
Mi riferisco a una frase della lettera di Comey: “…l’esistenza di mail che sembrano essere pertinenti”. Qualcuno ha visto abbastanza perché lui rilasciasse una dichiarazione del genere.
Ho i miei dubbi. L’FBI, qualche settimana fa, è inciampata in un tesoro di mail di uno dei principali collaboratori di Hillary Clinton. Chi tra noi fa parte del mondo dell’e-discovery sa che l’FBI dispone di tecnologie di e-discovery e analisi testuale che avrebbe potuto utilizzare per fare una “prima passata” e individuare la presenza di mail significative. Se l’FBI avesse creduto che queste mail potessero implicare la Clinton, avrebbe ricevuto un’ordinanza di tribunale il giorno stesso e avrebbe potuto scansionare queste mail in poche ore. La mail del capo dell’FBI era motivata dalla volontà politica di alterare il corso delle elezioni presidenziali. Punto e basta.
Come ha osservato nel fine settimana Edward Luce, principale corrispondente di Washington per il Financial Times:
“Le autocrazie si fondano sulla paura. Le democrazie sono tenute insieme dalla fiducia. La spericolata tempistica della rivelazione di Mr. Comey sul fatto che stava sviluppando l’indagine sulle mail della Clinton è quel che accade quando i funzionari tremano. Se Trump vincerà la prossima settimana, ha promesso di mettere in prigione la Clinton. I suoi sostenitori gridano “rinchiudetela” ad ogni raduno. Se la Clinton vincerà, Trump troverà ancora più Comey da intimidire. Quando in una democrazia una delle parti butta lì accuse preventive di tradimento – e nessuna è più grave che quella di manovrare dietro le elezioni presidenziali – il terreno su cui si fonda la legge traballa. E’ più difficile seguire la cieca giustizia o gestire un processo neutrale quando siete travolti da una tempesta. La campagna di Trump è un vento che ulula. Mr Comey è arrivato alla frutta.”
Che gli USA siano diventati un’oligarchia anni fa è un dato di fatto. Che siano sul punto di diventare un’autocrazia è un presagio. E in un paese diviso così profondamente, c’è forse da meravigliarsi se la neutralità è considerata alla stregua di collusione?
Non posso essere l’unico a guardare Trump e vedere il demoniaco Colonnello Jessep di “Codice d’onore”: due uomini che confessano i loro eccessi per estremo orgoglio , senza vergogna. E se Billy Bush può indurre Trump a “dire cose da spogliatoio” …come dichiarato da Melania Trump nella intervista con Anderson Cooper, beh… possiamo solo immaginare cosa potrebbe fare di lui Putin.
Per i media…alla disperata ricercata di una botta di adrenalina, ecco un giro di giostra in più per capovolgere il probabile risultato … EVVIVA! Un dono dal cielo! Oh, e che manna, dal cielo! I sostenitori di entrambe le parti sono diventati consumatori ossessivi di qualsiasi frammento di informazione che possa far pendere da un lato la bilancia e tutti i venditori mediatici hanno aumentato il loro numero di annunci pubblicitari durante questo periodo elettorale per approfittarne. I media che si fondano sulla paura vendono. Il vecchio, scontato principio dei media americani: “Se c’è del sangue, venderà”
Proprio questo è l’oggetto del presente saggio e combacia con il mio mantra dell’America come un luogo in cui ora, semplicemente, il denaro è tutto, la sola cosa che conta in quasi tutti gli aspetti della vita. Per me, l’America è un esperimento sociologico che ha miseramente fallito. Donald Trump è il prezzo che si paga per il fatto di vivere una cultura di mercato. Le regole del corporativismo.
Sì, devo ammettere che sono lievemente in svantaggio. In questa campagna elettorale sono rimasto dall’altra parte dell’Atlantico eccetto che per una breve visita negli Stati Uniti per ragioni di salute, che ha compreso una chiacchierata con un vecchio compagno di studi in legge (discussa più avanti) che è una figura di spicco del Partito Nazionale Repubblicano e … con mio orrore e stupore… la mia partecipazione (dietro suo invito) a un raduno di Trump.
Ma per la maggior parte del tempo mi sono basato sul “chiacchiericcio dei media”, che lo scrittore (e uomo d’affari) francese Jean-Louis Gassée chiama“brouet de sorcières dont nous louche off ce qui convient à vos sentiments” (che, tradotto alla buona, vuol dire “intruglio da streghe da cui tiriamo fuori mestoli di quello che più si adatta ai nostri sentimenti”) … con l’aggiunta di una pila di libri e riviste sulle elezioni. Mi sono anche preso del tempo per rileggere alcuni dei The Federalist Papers.
Oh, anche il contributo di mia moglie: F. Scott Fitzgerald. In particolare questa citazione de Il grande Gatsby (sono parole del personaggio Tom Buchanan):
“Se non stiamo attenti la razza bianca sarà – sarà completamente sommersa. Sta a noi, che siamo la razza dominante, di stare attenti, o queste altre razze prenderanno il controllo di ogni cosa.”
Abbiamo una raccolta di lettere di F. Scott Fitzgerald ed è degno di nota quello da cui lui dice di aver tratto ispirazione per il passo citato. Il romanzo è stato scritto e pubblicato nel 1925, ma era stato progettato nell’estate del 1922. Il Congresso aveva appena approvato una legge che restringeva l’immigrazione nel suo complesso; nel 1924 ne fece passare un’altra, che prendeva di mira le “orde” di Cattolici ed Ebrei che arrivavano dall’Europa meridionale e orientale, semenzaio di anarchia e “bolscevismo”. Buchanan si sarebbe trasformato in seguito nel nazionalista conservatore Pat Buchanan J.
In primo luogo, voglio fare un piccolo excursus di storia americana. Perché tutto questo razzismo, xenofobia e violenza dovuta alla campagna presidenziale di Donald Trump li abbiamo visti molte, ma molte, moltissime volte prima d’ora. Oh, quanto dimenticano in fretta gli Americani. Sì, la spiegazione comune per il successo di Trump, in particolare sui “media tradizionali”, è il semplice “binomio” razzismo-xenofobia. Ma queste sono parole, non sempre descrizioni sensate. La verità è che nel XXI secolo, con la fine della guerra fredda e l’insorgenza dei pericoli imprevedibili del terrorismo, il pubblico americano ha perso molto del suo desiderio di impegno globale – militare, politico, economico, culturale. Anche se Trump perdesse — che è ancora la cosa più probabile – i suoi elettori non spariranno e nemmeno i problemi che ha sollevato. Quindi abbiamo bisogno di farne venire alla luce qualcuno.
Concluderò questa parte con i maggiori costi che deriverebbero da una vittoria di Trump, ma anche da una vittoria della Clinton.
La rabbia che divora l’America
La citazione che dà il titolo a questo post è una delle battute più garbate fatta dal pungente giornalista/scrittore americano, editore e critico sociale e pensatore H.L. Mencken. Vorrei ipotizzare, analogamente, che nessuno ha mai sbagliato stimando per eccesso la rabbia degli Americani. Il paese ha un umore stranamente infiammabile. E trattandosi dell’America, c’è pieno di uomini d’affari pronti a monetizzare la rabbia — a fomentarla, manipolarla e trarne profitto. Si tratta degli imprenditori dello scandalo e dei baroni del fanatismo che hanno lastricato la strada per la salita al potere di Donald Trump…e che gli hanno soffiatoil vento in poppa per travolgere tutto in questa stagione elettorale.
E’ solo una fase logica in una storia che si sviluppa da lungo tempo. L’America ha abbandonato i suoi principi di democrazia, come si evince, evento dopo evento, guardando alla sua storia.
E per fare una correzione storica, permettetemi di far notare quanto segue. La “citazione” di Mencken (la maggior parte delle fonti che la usano sbagliano nel citarla) è di fatto la parafrasi comunemente usata di quello che ha realmente scritto Mencken — non è una vera e propria citazione. Proprio come la frase “l’informazione vuole essere libera” è stata parafrasata e utilizzata ad infinitum, sembra sempre essere al di fuori del suo reale contesto (vedi il mio breve scritto che spiega il significato di tale frase qui).
Mencken di solito scriveva una colonna per il Chicago Daily Tribune. Nella sua colonna per l’edizione del 19 Settembre 1926 diede come titolo alla colonna del giorno “Appunti sul giornalismo”… Si incentrava sulla tendenza recente del settore giornalistico americano che venne chiamata “tabloid” (fu lui a coniare la definizione) che si rivolgeva a lettori poco istruiti, compresi quelli che Mencken descriveva come “semi-analfabeti”. Per le testate giornalistiche la direttiva era essere meno sostanziali e intellettuali dei giornali regolari come il Tribune, nella speranza di vendere alle masse.
Tralascerò i dettagli delle osservazioni fatte da Mencken sul giornalismo, l’istruzione, i mass media, ecc. (sono un ammiratore di Mencken; ho quasi tutti i suoi scritti) e mi limiterò a fornire il paragrafo corretto tratto dal suo pezzo:
“Nessuno, in questo mondo, per quel che ne so – e ho analizzato le registrazioni di anni, e impiegato agenti per aiutarmi – ha perso i suoi soldi sottovalutando l’intelligenza delle ampie masse della gente comune. E nemmeno perso la propria funzione pubblica per la stessa ragione. Dato che le persone comuni sono in grado di parlare e capire, e perfino, spesso, di leggere e scrivere, si dà per scontato che abbiano delle idee in testa, e il desiderio di averne di più. Questa deduzione è pura follia”.
Guardando il panorama dei media e politico di oggi, l’opinione di Mencken potrebbe essere considerata una previsione più corretta che mai. La questione oggi nella politica americana, però, è se il punto che abbiamo raggiunto è la fine del viaggio … o l’ennesima tappa di un lungo cammino.
Il quarto presidente americano, James Madison, aveva prospettato la forma costituzionale degli Stati Uniti come un principio di rappresentanza, moderato dalla competizione tra fazioni. Nel 10° scritto federale, scritto nel 1787, dichiarava che le grandi repubbliche sono meno a rischio di corruzione delle democrazie piccole o “pure”. Un ampio elettorato su larga scala sarebbe stato più in grado di scegliere persone di “visioni luminose e sentimenti virtuosi”.
Ma quello che abbiamo ottenuto è stato un ampio elettorato dominato da una fazione piccolissima. Quello che Madison non poteva prevedere era la misura in cui un finanziamento di una campagna libera, un’industria di lobby sofisticata e una cultura ossessionata da media e intrattenimento avrebbero dominato un’intera nazione.
Nel mondo che conosciamo, le “democrazie” stabilite in Europa e in Nord America sono state a lungo considerate esempi luminosi di come possa durare il governo del popolo. Questa idea ora viene messa in pericolo, dal momento che l’approccio demagogico di Donald Trump mette in moto le minacce anti-democratiche contro le minoranze, i giornalisti e il sistema elettorale in sé. I suoi sostenitori sono uniti in parte da un sentimento di sventura e persecuzione (in parte fondato), e hanno l’idea che il loro mondo sta finendo e devono riportarlo indietro.
Semplificando al massimo, Trump ha dato voce a un’America inascoltata, quella dei “non-ho”. Il candidato repubblicano rappresenta molte cose diverse per i suoi sostenitori, ma tutti si sentono ignorati da Washington. Sentono parlare della gloria della globalizzazione dal mondo-che-possiede, ma sapete? Tutta questa “prosperità” del c***o non è mai stata condivisa in modo adeguato.
La cosa più divertente (se così si può dire ) è che il razzismo, la xenofobia e la violenza della campagna elettorale di Donald Trump vengono visti ampiamente come un’aberrazione, come se il dibattito moderato fosse mai stato il sistema tradizionale dei politici americani. Ma molti hanno dimenticato la storia dei loro U.S.A. (o semplicemente, non l’hanno mai letta) perché esistono precursori di Trump, candidati che hanno cercato l’oro del voto appellandosi a paure esagerate, reclami reali e pregiudizi viscerali.
Nessuno si ricorda del partito anti-immigrazione “Know-Nothing” degli anni ‘50 dell’800? O dei politici per la supremazia della razza bianca dell’epoca di Jim Crow? O dei più recenti imbonitori e demagoghi compresi Joe McCarthy e George Wallace? E che dire di tipi più rispettabili come Richard Nixon, la cui “strategia per il meridione” dava un’ottima prospettiva per smuovere il risentimento dei bianchi contro quanto ottenuto dai movimenti per i Diritti Civili?
Lo so, lo so, lo so: che “rispettabile” e “Nixon” possano essere inclusi nella stessa frase dimostra in che modo i miei standard politici siano cambiati dagli anni ‘70.
E i discorsi frammentari fatti su razze e generi e gruppi e oppositori e altri scandali del passato? Non è stato Trump a leggere il Dr. Seuss per fare ostruzionismo al congresso in una funzione di budget di routine. Non è stato Trump a mentire sulle armi di distruzione di massa. Non è stato Trump a usare Willie Horton, né Trump ad attaccare a livello personale un eroe di guerra decorato.
Trump non è la “nuova” anomalia che cambia il modello, ma, piuttosto, il logico prodotto di anni e anni di sfacciate bugie e invenzioni e contraddizioni surreali. Trump ha semplicemente estremizzato la cosa, un predatore opportunista che ha visto che non c’erano svantaggi nel mentire, diffamare o opporsi al governo e ne ha approfittato. Ma é un film già visto.
La violenza non è una novità nella storia politica americana. Già ai tempi del colonialismo i capi della resistenza contro le misure inglesi e i capi che spingevano a mantenere il governo inglese non si basavano solo su argomentazioni astratte relative alla tassazione e alla rappresentanza, ma anche su azioni illegali ed episodi di violenza; gli oppositori venivano esposti al pubblico ludibrio. Ognuno terrorizzava chi lo criticava.
E proprio nel XX secolo, i neri del Sud che volevano esercitare il diritto di voto affrontavano le violente aggressioni del Ku Klux Klan e di gruppi simili. Ammettiamolo: razzismo, violenza, attacchi volgari contro gli oppositori, ecc. hanno fatto parte della cultura politica americana sin dalle origini.
Oh, il topos di una gloriosa Rivoluzione Americana ha fatto la sua strada nella storia che si studia a scuola e lo hanno usato per farci il lavaggio del cervello quando eravamo giovani studenti: l’idea che, a differenza delle “cattive” Rivoluzioni francese e russa che erano degenerate in un violento scontro tra classi sociali, noi eravamo un popolo americano “unito” che si era ribellato contro gli usurpatori britannici con moderazione e decoro.
Oh, fratelli miei. Chi tra noi ha fatto l’università e ha seguito diversi corsi di storia americana, ha subito il lavaggio del cervello attraverso le parole di Bernard Bailyn, Edmund Morgan e Gordon Wood. Quel che veniva spazzato via/filtrato erano gli enormi conflitti economici e di classe che dividevano l’America coloniale, e le varie e spesso violente differenze di credo politico. Come è noto aver scritto John Adams, descrivendo il Primo Congresso Continentale radunato nel 1774: “I delegati erano estranei, non avevano alcuna familiarità gli uni con le idee e le esperienze degli altri e la differenza di opinioni”. Non c’era unità di pensiero politico.
Quindi, dimentichiamo Bailyn, Morgan e Wood. Avremmo dovuto leggere Eric Foner, Alan Taylor, Daniel Vickers e Ian Williams. Come hanno scritto, l’ideologia politica che motivava i coloni aveva profonde e complesse radici, con profondi conflitti sociali e di classe. E furono “numerosi pensieri” a fornire le prime motivazioni per la rivoluzione … per molte ragioni diverse.
Mi fermo qui. Sto scrivendo un pezzo intitolato “I nostri padri feudatari fondatori” che scende più nei dettagli, ed è il risultato dell’aver concluso da poco due compendi delle lettere e dei diari di John Adams e Benjamin Franklin, e un recente libro del summenzionato Alan Taylor intitolato Le Rivoluzioni Americane (si noti il plurale) sugli USA degli anni compresi tra 1750 e 1804.
Mi concentro sulle seguenti pagine: questa rituale performance della leggenda della democrazia nell’autunno del 2016, che promette l’enorme spesa di 15,8 miliardi di dollari in fondi per il finanziamento di una campagna elettorale, abbastanza soldi, grazie a Dio, per provare che la nostra bandiera sopravvive.
Come e perché i media ci hanno dato Donald Trump? Come siamo passati da candidati che normalmente vengono esposti come prodotti destinati più ad essere visti che ascoltati, come se la loro qualità dovesse essere dedotta dal costo della loro presentazione, alle bombe che Trump fa esplodere nell’aria? A …letteralmente, dei concorrenti di un gioco televisivo?
Come abbiamo permesso all’oligarchia commerciale…che paga sia per i politici sia per la stampa di copertina …di trattare la democrazia come se fosse un’ospite di un talk-show seduto da solo nella sala verde con una bottiglietta d’acqua e una banana, armata della rassegna stampa del suo “una volta ero una stella” pronta a dimostrarlo, in attesa del suo turno tra un commerciante di shampoo e un demagogo? Bene, cercherò di dirvelo. Almeno, di darvi la mia interpretazione.
Tutto questo richiede una profonda riflessione perché i media tradizionali spesso sono di scarso aiuto, soprattutto la loro copertura dei finti dibattiti. Alla fine non chiedono se i candidati hanno presentato argomenti validi, posto quello che sappiamo essere vero, ma se hanno presentato argomenti validi posto quello che loro immaginano che gli elettori sappiano essere vero. E come Amanda Marcotte di Salon ha osservato …in una constatazione meno tattica e più deprimente sulla performance di Mike Pence nel dibattito vicepresidenziale… Dire che Pence “ha vinto”il dibattito significa dire “che non importa affatto se qualcuno è un bugiardo e un mostro moralmente, purché non si veda che suda.”
Il pubblico dei baroni mediatici del fanatismo
Da tutto quello che ho letto e dalle numerose conversazioni che ho avuto con familiari, amici e colleghi, mi sembra di capire che tutto si riduce a questo: gli elettori di Trump non vengono definiti dalla loro esperienza di difficoltà economica, ma dalla loro volontà di abbracciare una particolare spiegazione di questa difficoltà – in particolare, che è stata riversata su di loro da un presidente nero in combutta con le persone di carnagione scura che hanno rubato loro il lavoro, il loro “stile di vita” e la loro condizione economica.
Quando ero a Chicago all’inizio dell’estate, Gabe Zeptum, un sociologo che ha studiato la salita del Tea Party, lo ha spiegato parlando di persone che si sono viste tradite da “arrivati” — neri, immigranti, donne e gay — che li hanno superati nella coda per la conquista del sogno americano. I meridionali si sentono sopravvaricati e umiliati dai settentrionali che dicono loro per chi devono provare compassione e poi li allontanano come bigotti quando non lo fanno. Si sentono vittime della stagnazione dei salari e di azioni forti, ma senza usare la lingua del vittimismo: i meridionali che lottano non sono dei “piagnoni”. Credono di essere persone rispettabili in un mondo in cui le fonti tradizionali dell’onore — fede, indipendenza e tenacia — sembrano non essere riconosciute. Bene, fino a quando Donald Trump ha iniziato ad offrire speranza e conferme emotive.
L’argomento decisivo l’ho trovato a quel raduno di Trump che ho citato prima. Ho incontrato un tizio…uno dei pochi alfabetizzati del gruppo… Che parlava del “Treno di Trump”. Parlava dell’ “esperienza di successo” di Trump (non ero lì per discutere) e ha ammesso “sì, ha la bocca come una fogna e parla come un marinaio e non sarò mai d’accordo con lui su tutto”.
Ma poi ha sparato il colpo migliore:
“Il fatto è che nessuno è stato in grado di risolvere il mio problema, e quest’uomo mi dice che può farlo. Io gli credo e intendo affidargli il compito di farlo. Noi sostenitori di Donald Trump non siamo d’accordo con tutto quello che ha fatto in passato e speriamo tutti che ci renderà più facile il fatto di resistere e combattere per lui, ma il Treno di Trump si allunga sempre di più”.
Eh sì. Dimenticata l’automazione. Dimenticata la globalizzazione. Dimenticati decenni di politica fiscale repubblicana che hanno impoverito la nazione di infrastrutture e capitale umano indirizzando i vantaggi della crescita economica a chi era già enormemente ricco. Dimenticate le scelte personali di rinunciare all’istruzione superiore e alla formazione supplementare. Dimenticato il fatto che la possibilità da parte dei lavoratori a basse o medie competenze di ottenere un livello di vita da classe media è stato un prodotto di un momento particolare della storia economica di questa nazione.
Ricordiamo solo questo: Barack Obama, un uomo di colore, era presidente quando il nostro momento è sembrato definitivamente passare, quando “il nostro treno ha lasciato la stazione”. E VOLEVA che andasse così.
Per le persone che detestano Trump, questa incrollabile fedeltà è difficile da capire. E per aggiungere un colpo di scena, un collega con cui lavoro in Medio Oriente sulle indagini rispetto ai crimini di guerra ha detto che “abbiamo raggiunto una nuova pietra miliare. Per la prima volta nella storia, è più facile capire i politici del Medio Oriente che i politici americani”.
Il libro più significativo di questa stagione politica (si è diffuso a macchia d’olio nella “D.C. Bubble”) che vi introdurrà agli elementi chiave di tutto questo è “Hillbilly Elegy” di J.D. Vance. Vance è cresciuto in Ohio, figlio di un alcolista, di una madre con problemi di tossicodipendenza e un padre assente, diventando adulto in una delle tante cittadine industriali depresse del panorama americano. Descrive il tribalismo, la diffidenza nei confronti degli estranei e delle “élite”, la violenza e l’irresponsabilità tra membri della famiglia, genitori senza senso di responsabilità, un’etica lavorativa terribile e una mentalità “noi contro di loro” che ha condannato le persone che vivono in questo modo a diventare ancora più povere, dipendenti ed emarginate.
La forza di Trump…come spiegato da Vance in diverse interviste sui media relative al libro…è dovuta alla sua straordinaria incidenza e popolarità presso queste persone. “Coglie” perfettamente la gente di Trump. Il suo punto chiave:
“Trump è una forma di oppio per le masse. Quello che Trump offre è una fuga facile dal dolore. Le sue promesse sono l’ago nella vena collettiva dell’America. Trump è un’eroina culturale. Fa in modo che ci si senta meglio per un po’. Ma non può risolvere i loro problemi, e un giorno se ne accorgeranno.”.
Diventare ricchi spingendo la politica all’estremo
Le persone si scandalizzano delle sue volgarità, tenendosi stretti i loro gioielli. L’immaturità di tanti momenti. L’istinto demagogico di amplificare la voce più rabbiosa della folla.
Dall’inizio i media, anziché svelare e dare dettagli su Trump attraverso la sua carriera, si sono concentrati sulla sua celebrità e sulla sua retorica esplosiva, offrendogli la possibilità di crearsi una base sicura, ben radicata. In tutto il suo razzismo, la sua misoginia, la sua gloria piena di odio. E peggio ancora abbiamo l’Alt-Right — nome fuorviante per un ripugnante movimento disorganizzato, ma consistente che fino ad oggi ha prosperato solo sull’web – che ora si è insinuato, indiscutibilmente, nella politica americana. Questo cupo risultato indica l’influenza ribaltata che possiedono ora le periferie, sia ideologiche che mediatiche, sulla tradizione.
Perché? Perché presentare Trump come un evento collaterale, deliziandosi continuamente con lui, era divertente. Significava clic. Significava traffico web. SIGNIFICAVA SOLDI!!
E diciamocelo. Il problema è anche che media e politica sono in combutta tra loro. I grandi media che operano in campo politico sono pagati per trasformare roba scadente (Bush, Cruz, Rubio & Co.) in merce di prima qualità…pagati, e pagati profumatamente, per farlo. E per farlo hanno bisogno di lavorare con i loro corrispondenti operativi dei grandi media nel… Beh, nel mondo dei media. Così investono capitali in spot pubblicitari.
Come ha osservato Matt Taibbi di Rolling Stoneall’inizio di quest’anno in una serie in Ad Age, perfino Leslie Moonves, presidente CBS, ha detto che i media non dovrebbero essere rimproverati per le cose che offrono ai lettori. Hanno un incentivo evidente a promuovere Trump…e lui si è deliziato apertamente nei soldi spesi per la pubblicità.
“Che vantaggio ha portato la campagna di Trump alla mia rete. E che guadagno. E’ terribile da dire. Ma, continua, Donald. Continua così!!”
E la saturazione del mercato dei media da parte di Trump ha dimostrato che lui sapeva che gioco giocare. Invece di contare sui metodi tradizionali di comunicazione—pubblicità a pagamento, interviste selezionate con cura, post su facebook aziendali è diventato il medium e il messaggio, imprevedibile e sempre presente. Un ottimo modo per vendersi.
NOTA: due settimane fa ha lanciato un talk show notturno (“Trump Tower Live!”) sul suo feed di Facebook Live, un ovvio precursore della futura TRUMP TV. Tutto quello a cui sono riuscito a pensare è stato sua figlia, Ivanka Trump. Dopo i commenti sconcertanti sul vestito che indossava nel suo discorso alla convention repubblicana, ha iniziato a venderne copie su internet. I Trump saranno sempre i Trump.
Donald è emerso dai circoli populisti dei tabloid pro-wrestlig e New York City, tramite i reality televisivi e Twittler, per dimostrare che aveva ragione James Madison:
“…le democrazie sono sempre state spettacolo di agitazione e contesa…e in generale la loro vita è stata tanto breve quanto la loro morte violenta.”.
C’è da meravigliarsi che Roger Ailes sia il pubblicitario mediatico di Trump? E’ l’impresario del populismo reazionario…e l’ex-presidente e CEO caduto in disgrazia di Fox News…che sa moltissimo sulle proprietà persuasive della televisione e non ha studiato solo i programmi americani, ma anche i film di Leni Riefenstahl. Con ispirazioni del genere…
E i dibattiti? Fatturati e venduti come intrattenimento:
Clinton vs Trump, faccia a faccia!
Venite a vedere la fine del sogno di Hamilton e Madison!
Dal vivo alle 21!
Adam Gopnik della rivista The New Yorker lo ha espresso ancora meglio:
“I dibattiti sono stati organizzati apparentemente da un Dio che agisce alla maniera di Vince MacMahon, decidendo se in questo round vincerà il bravo ragazzo, o la brava donna. Il lottatore ben allenato e preparato ha riempito di pugni il beffardo fanfarone in maschera e mantello fino a sottometterlo, mentre il pubblico a casa applaudiva.”.
Jay Rosen…critico mediatico, scrittore e professionista nel giornalismo…ha osservato che Fox News era un esempio della quintessenza degli “innovatori distruttivi” di Clay Christensen. Hanno scoperto un mercato ampio, poco servito – persone che erano interessate alle notizie, ma avevano poco in comune con i liberali della Ivy League di educazione universitaria che dominavano i canali di notizie regolari come l’NPR. Hanno creato un pubblico di milioni di persone e mostrato…contrariamente a quello che ha detto Marshall McLuhan, studioso dei media…che quello che contava non era il mezzo, ma il messaggio.
E il messaggio era lo scandalo. Questo messaggio è andato a ruba…e ha fatto incassare milioni di dollari. Fox News e la sua coorte come Rush Limbaugh, Bill O’Reilly, Sean Hannity & Co. … Perfino Matt Drudge e Andrew Breitbart nelle loro sedi … hanno diviso il mondo in due campi — gli Americani che lavorano duramente per guadagnarsi da vivere contro i liberali impegnati ad imbrogliarli.
Grazie ai media (proprio come la politica) si rivolgono a un pubblico rilevante e demograficamente significativo – Americani che non si distinguono per il fatto di essere tali, ma per le caratteristiche ereditarie che li riducono a un prodotto: Americani armati, donne americane, Americani bianchi, Americani gay, Afroamericani, Americani Ispanici, Nativi Americani, Americani degli swing-state, Cristiani americani, Americani alienati. Lewis Lapham, nel suo libro Democracy ha detto:
“La subordinazione del nome all’aggettivo si fa beffe della premessa democratica. Promuove una separazione più profonda, non il mettere insieme un bene comune.”
E la rabbia degenera facilmente in fanatismo. Queste “nuove” agenzie di vendita spingono oltre i limiti. Hanno fornito piatteforme per membri di gruppi di estrema destra.
Ma il punto chiave è: dietro al fanatismo ci sono un mucchio di soldi. Apparentemente pochissimi pubblicitari sono riluttanti ad essere associati a contenuti nocivi se possono ottenere “occhi che li guardano”.
Debbie Sarano, che ha studiato i media conservatori, dice che il loro schema preferito nei telegiornali è
“la storia della notizia che non scende oltre un livello superficiale. Il bisogno di acchiappare-la-storia-per acchiappare-il-pubblico spesso fa sì che i reporter non verifichino i fatti. E raramente il reporter correggerà le inesattezze e le mancanze individuate a posteriori. Perché l’elemento chiave è quella prima atmosfera emotivamente intensa o il sensazionalismo che si ottengono”.
Matt Taibbi ha osservato che i media basati sulla paura…in particolare come gestita dai media conservatori…hanno diversi elementi chiave:
(a) sentire che le proprie comunità e le aree vicine non sono al sicuro
(b) credere che il livello di criminalità sia in aumento
(c) sopravvalutare la possibilità di diventare una vittima, e
(d) considerare il mondo un luogo pericoloso.
E osserva che la stampa liberale spesso è egualmente colpevole. Le linee guida che lo hanno formato come giornalista sono fuori moda: il senso dell’equilibrio, la coscienza e, ancora più importante, il dire la verità.
Il futuro dei media dell’odio americani
Le conseguenze immediate saranno orribili. Supponendo che vinca Hillary Clinton, dovrà affrontare un partito di opposizione che la demonizza e nega la sua legittimità indipendentemente dal suo margine di vittoria. Può essere difficile pensare a un modo in cui i Repubblicani possano essere più ostruzionisti e distruttivi di quanto lo siano stati negli anni di Obama, ma troveranno un sistema.
Così l’esplosione dello scandalo probabilmente non finirebbe. Supponendo che Trump perda, i media conservatori avranno ancora le azioni della famiglia Clinton a giocare a vantaggio di tutti quelli che li odiano. E sono nell’industria dell’odio.
Cosa forse ancora più importante, il “Trumpismo” non scomparirà. Siccome le elezioni del 2016 sembrano avviate verso un’infausta conclusione, può apparire crudele dire che la corsa per le presidenziali del 2020 è già in atto. Un mio caro amico è una personalità di spicco nel partito repubblicano. La sfida per questo partito, dice, è trattenere i nuovi elettori portati da Trump e sfruttare il suo populismo — “ma confezionarlo in modo che sia più adatto alla massa”. Ha detto “anche in caso di sconfitta Trump darà forma al futuro del partito.”. Ha osservato che un recente sondaggio Bloomberg ha chiesto ai Repubblicani quale visione corrisponde meglio alla loro idea di quello che il partito dovrebbe essere: Paul Ryan o Donald Trump. La risposta è stata Trump, con ampio margine. I politici repubblicani non dimenticheranno questa lezione.
Anche se Trump perdesse… Qual è stato il suo messaggio? … “bigly”, e loro sapranno che la loro fortuna personale dipenderà dal mantenere essenzialmente la linea trumpista. Il Trumpismo è tutto quello che interessa al partito. Come ha osservato Paul Krugman “una cattiveria di fondo fa ora parte del DNA repubblicano”.
Per i media… Bene, “è una miniera d’oro”. Come ha detto la storica Nicole Hemmer (autrice del nuovo libro ““Messengers of the Right Conservative Media and the Transformation of American Politics”; un’ottima lettura) si va alle origini di queste agenzie mediatiche alternative e si vede come hanno agito rispetto alle attività elettorali, come la campagna presidenziale di Barry Goldwater nel 1964 e la vittoriosa corsa per un seggio in Senato a New York di James L. Buckley nel 1970:
“Il caso di Trump è stato una manna per i canali di notizie via cavo che stavano morendo, aiutandoli a invertire una tendenza al calo dell’audience che durava da anni. Il primo dibattito presidenziale durante la prima stagione repubblicana è stato seguito da un record di 24 milioni di persone, tre volte più del pubblico del dibattito GOP più seguito del 2012. Secondo Advertising Age, la CNN ha aumentato di 40 volte le sue normali tariffe per le pubblicità che venivano mandate in onda durante la trasmissione del secondo forum dei candidati GOP. I loro profitti da pubblicità hanno superato ogni record quest’anno”.
Come ha osservato Matt Taibbi, mentre Trump non ha mai ottenuto più del 47 per cento in qualsiasi sondaggio di opinione presso il pubblico rispettabile, egli ha decine di milioni di leali sostenitori a cui piacerebbe moltissimo continuare a sentirlo parlare anche se dovesse finire col perdere queste elezioni:
“I suoi attacchi continui contro i giornalisti hanno solo rafforzato la sfiducia dei suoi ammiratori nei media in genere. Nell’età di internet a banda larga e delle notizie via cavo, le uscite dei media conservatori di nicchia sono diventate molto più di un progetto per i politici repubblicani. Il Canale Fox News di Roger Ailes ha attinto da legioni di politici GOP falliti come Mike Huckabee e Allen West, dando loro mazzette in denaro contante ma anche elevata visibilità sui mezzi di comunicazione di destra in cima alle classifiche. Con i relativi annunci e guadagni. E non solo le reti conservatrici. CNN e altre reti avranno bisogno di stare al gioco. Si è arrivati al punto in cui persone che urlano e gridano l’una contro l’altra rendono moltissimo.”.
I media tradizionali dovrebbero piangere “Ma cosa diavolo è successo?!” Il giornalismo politico di solito si fermava a un’immagine di politica che i giornalisti e i politici condividevano. Come praticato dai “media tradizionali” (intesi come i professionisti che lavorano in NBC, ABC, CBS, CNN, PBS, NPR, the AP, New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Los Angeles Times, USA Today, Reuters, Bloomberg, Politico, Time magazine, ecc.) il giornalismo politico si fondava interamente su un’immagine mentale del sistema americano in cui i due maggiori partiti erano attori simili, solo con “filosofie opposte” (è una frase che ho copiato da Dean Baquet, editore esecutivo di The New York Times).
Così i “media tradizionali” sono abituati a una politica quotidiana fatta di una serie di battaglie minori per ottenere vantaggi tattici. Guardano alla politica allo stesso modo delle persone negli edifici di partito.
Sì, un sistema normale. Un quadro stabile. Come al solito.
Così, quando si ha un’asimmetria tra le parti come quest’anno, questo fa saltare i circuiti mentali della stampa tradizionale. Di fatto c’è un solo partito…il GOP…che diventa l’eccezione nascente della politica americana. Si trattava (si tratta?) di un estremo ideologico, insensibile alla tradizionale comprensione dei fatti, all’evidenza e alla scienza. Sì, Stephen Colbert, hanno rifiutato la “vera verità”.
Lo so, lo so, lo so. Oggi diciamo “media” al posto di “stampa”. Perché “la stampa” è diventata il fantasma della democrazia nella macchina mediatica. Sì, la dovremmo mantenere viva, ma non ce la faremo, non possiamo. La tecnologia e una sorta di “Zeitgeist negativa” hanno capovolto tutto.
Il grande abilitatore
“Una menzogna può fare il giro del mondo prima che la verità si sia messa le scarpe.”.
Sarei negligente se non parlassi dei social media. Il cambiamento reale sono stati Facebook e Twitter nel 2009. In un certo senso, Trump è solo un sintomo. TalJohn McWhorter (un accademico e linguista americano, professore associato di lingua inglese e letteratura comparata alla Columbia University che pubblica regolarmente sul The Atlantic Magazine e altre pubblicazioni) dice che il linguaggio offensivo, gli insulti razziali e le menzogne sono diventate un’abitudine nei raduni di Trump. Twitter e Facebook sono diventati la base della comunicazione quotidiana per molti Americani tra il 2007 e il 2009, rivoluzionando il modo di parlare di, diciamo, qualsiasi cosa, e spingendo il chiacchiericcio politico in una direzione molto più cattiva. In quest’ottica, l’effetto Trump non è legato solo all’uomo, ma è:
un risultato naturale, quasi inevitabile di forze economiche e sociali scatenate dal rapido, potente cambiamento tecnologico che, anche prima della candidatura di Trump, ha reso il paese più cattivo, più pronto allo scontro e più diviso. Il populismo che Trump rappresenta e le tensioni sociali che hanno fatto preoccupare per uno come lui milioni di Americani fanno capolino regolarmente nella storia americana. Le precedenti esplosioni di populismo si sono esaurite di solito in meno di una generazione, scomparendo quando lo sviluppo economico, la guerra o delle riforme politiche placavano la sensazione di insicurezza della gente.
In un pezzo recente sul New Republic, Matt Hower ha osservato che nei campus universitari, le battaglie su visioni diverse del mondo, politica dell’identità e la definizione della libertà di parola hanno imperversato per anni. Online, molti Americani hanno già trascorso anni nuotando in un oceano virtuale di pornografia, linguaggio osceno e comportamenti sessuali scorretti – molto prima che il linguaggio volgare di Trump sulle donne e le accuse sulle sue avance inappropriate diventassero problemi della campagna elettorale.
Come sa la maggior parte dei miei lettori,io trascorro troppo molto tempo in Medio Oriente. Mi trovavo lì nel Giugno del 2014, quando è iniziata l’offensiva dell’ISIS in Iraq – la prima campagna militare lanciata con un hashtag. L’hashtag #AllEyesOnISIS ha annunciato l’invasione del 2014 – una sanguinosa azione che ancora affligge la politica mondiale due anni dopo.
Rivelare un’operazione militare tramite Twitter potrebbe sembrare una strategia strana, ma non dovrebbe sorprenderci, vista l’origine. Lo Stato Islamico autoproclamatosi deve la propria esistenza a quello che internet è diventato con la nascita dei social media – un vasto ambiente di condivisione e conversazione, argomentazione e indottrinamento online, che risuona di miliardi di voci.
Stiamo ancora cercando di capire l’uso dei social media sia come strumento in un conflitto sia come elemento che dà forma al conflitto stesso, monitorando il modo in cui chi è abituato a chattare online ha iniziato a interagire con la violenza nella vita reale in dozzine di scontri armati in tutto il mondo. Come questa tecnologia è stata militarizzata. Mentre leggete queste parole io sono appena partito per la Giordania per discutere proprio di questo argomento in un seminario.
Ma tornando alla “calma” delle elezioni presidenziali USA, consideriamo solo alcuni punti. Circa tre anni fa qualcuno mi ha inviato una videointervista del 2005 con Mark Zuckerberg, quando “Facebook” era ancora uno startup da Palo alto gestito da uno Zuckerberg universitario. Osservò che “Facebook” sarebbe diventato “uno specchio di quanto esisteva nella vita reale”. I social media sono indubbiamente uno specchio, che riflette tutti i tipi di interessi e idee umani, che arrivano inevitabilmente a toccare il territorio della politica. Sicuramente, più abbiamo appreso sul comportamento sui social media, più appare evidente che questo specchio è deformato — o forse, che ci deforma.
Contro ogni speranza che deriva dal connettersi con nuove persone e nuove idee, i ricercatori hanno scoperto che il comportamento online è dominato dall’ “omofilia”: la tendenza ad ascoltare e ad associarsi con persone simili a sé, e ad escludere chi la pensa in modo diverso. I social network non servono a creare empatia con persone diverse da sé, ma sono ottimi per circondarsi di persone che condividono la propria visione. Il nuovo ecosistema delle informazioni non sfida i pregiudizi; li rafforza.
Da Maggio di quest’anno, The Wall Street Journal ha avviato un progetto denominato “Blue Feed, Red Feed” che mostra fianco a fianco i flussi su Facebook di fonti di notizie diffuse, rispettivamente, tra il pubblico liberale e quello conservatore. Dai feed che risultano dai social media sembra che si tratti di due universi paralleli.
I social media favoriscono sicuramente la connessione all’interno di una cerchia di amici o di conoscenze che la pensano allo stesso modo. Ma più si ampia l’orizzonte — guardando a intere società o al corso degli affari mondiali — più questa connessione è viziata da chiusura tribale e reciproca diffidenza.
Questo problema però ci turba in modo particolare a causa di un’altra caratteristica dei social media: i loro utenti non sono consumatori passivi, come chi guarda la TV o ascolta la radio, o perfino i primi utenti di internet. Tramite le varie piatteforme, da Facebook a Instagram a Twitter e Weibo, ora siamo tutti creatori, raccoglitori e distributori di informazioni. Possiamo creare foto provocatorie, testi provocatori, menzogne provocatorie. E ovviamente, i messaggi che hanno una certa risonanza possono essere sostenuti, adattati e istantaneamente amplificati. Emerson Brooking (ricercatore presso il Consiglio per le Relazioni estere, che mi sta aiutando a capire la “militarizzazione di Twitter”) la mette così:.
“Entrambi i soggetti del processo comunicativo sono stati democraticizzati in un modo che nessuna tecnologia precedente aveva raggiunto. I social media hanno reso gran parte di noi partecipi in, e non solo osservatori di, una politica corrotta. Le implicazioni di questa partecipazione su larga scala si estendono molto al di là del campo virtuale e dei confini di questo post.
Così, storie completamente false, molte ovviamente comiche, non muoiono mai. Circolano per giorni tra blog e account dei social media. La loro durata indica l’aspetto più preoccupante dello sviluppo del nostro mondo mediatico. I social media come Facebook hanno reso democratico il panorama dei media, consentendo a ciascuno di creare e distribuire contenuti ai propri amici e familiari. Questo ha molti aspetti positivi, ma sta anche rivelando di avere un serio risvolto negativo: senza i filtri di qualità garantiti di solito dai media tradizionali, viene lasciato molto più spazio all’ampia circolazione di cose totalmente senza senso.”
L’aumento della polarizzazione delle notizie mediante i social media consente ai liberali e ai conservatori di vivere versioni diverse della realtà. E questo rende sempre più difficile il funzionamento del nostro sistema democratico. Ecco perché teorie di cospirazione si diffondono intorno all’internet conservatore, passando da un utente Facebook conservatore a un altro. La loro diffusione è stata amplificata da aggregatori come Matt Drudge, felice di indirizzare il pubblico verso storie succose, senza preoccuparsi troppo del fatto che siano vere o meno.
Questo, unito ai filtri algoritmici utilizzati da Facebook e altri e dalle “posizioni feed” crea una distorsione esponenziale. E’ un capitolo successivo nella mia artificial intelligence series.
E il costo effettivo di tutto questo? Frank Luntz, che è un maestro nel condurre gruppi di discussione, ha scritto di recente circa gli effetti dei social media sui bambini. Ha osservato che mentre i social media hanno dato voce a una generazione, c’è stato un incredibile aumento del numero di giovani che cercano aiuto per risolvere le proprie ansie dovute all’esposizione ai report dei social media su problemi mondiali come la campagna presidenziale USA, la guerra in Siria e la violenza delle armi negli USA. Luntz ha notato un aumento esponenziale di genitori che gli dicono che i loro bambini utilizzano insulti ispirati a Trump a scuola. “Si tratta di ‘Lyin’ Thomas’ (Thomas bugiardo) e ‘Little David’ (Davide nano) nella quinta o sesta classe”, ha detto. “Quando succede così, si capisce che c’è un problema.”.
Gli insegnanti in tutto il Paese osservano non solo un aumento preoccupante del numero di bambini che imitano gli insulti di Trump, ma anche un’esplosione di paura tra i bambini immigrati rispetto alla minaccia di deportazione, anche quando le loro famiglie sono legalmente residenti negli USA. Ha riportato in particolare una storia della sezione Roxbury di Boston, in cui un’insegnante di inglese dell’ottava classe è rimasta basita di recente vedendo un ragazzo che tremava di paura. Gli ha chiesto cosa c’era che non andava e il ragazzo, la cui famiglia è immigrata legalmente dalla Colombia, ha risposto che un simbolo della campagna di Trump che il proprietario della lavanderia a gettoni del quartiere aveva postato lo aveva terrorizzato: “Pensava che volesse dire che l’INS si sarebbe diffuso rapidamente e che lui sarebbe stato rispedito indietro anche se non è clandestino”.
Nel suo gruppo di discussione di insegnanti, un insegnante ha osservato che “ci sono ragazzini a cui, prima di Trump, interessavano le ultime scarpe da ginnastica, il baseball, il football, perfino il sesso. Ora sono iper-concentrati su Trump.” Un altro ha detto “un ragazzo mi ha portato il suo cellulare per farmi vedere i tweet di Trump. Conoscono i suoi insulti a memoria. Hanno paura.”
Sì, lo so. Mentre qualcuno può giudicare tutto questo come un’ulteriore prova di un’ampia crisi della salute mentale dei giovani, è importante ricordare che la preoccupazione è una componente normale della vita. I ragazzi di solito imparano ad affrontare le preoccupazioni mano a mano che diventano grandi. Il danno psichico, però, potrebbe essere ancora una volta sorprendente.
P.S.: il futuro dell’America
Forse indulgo al passato, o cerco sempre dei modelli. Ma devo guardare all’andamento della storia, a quello che è più evidente. Tendiamo ad imparare la storia e il mondo in cui viviamo a pezzi. In parte ciò accade perché spesso abbiamo solo pezzi del passato (cocci, ostraka, palinsesti, codici rovinati con pagine mancanti) e anche del presente (clip di notizie, flussi su Twitter/Facebook/”name that snip”).
Penso che ci sia bisogno di prendersi una pausa dalla cacofonia assordante del rumore quotidiano e accostarli, esaminarli, confrontarli e compararli e ottenere una visione completa. Stando seduto su uno scoglio greco in mezzo al Mediterraneo, ho il tempo di farlo.
E dovrò ammettere che sono un uomo da media. Mi piace questa ultima/recente rivoluzione nella tecnologia dell’informazione. Sì, può frammentare l’attenzione, ma offre un caleidoscopio di informazioni prima inimmaginabile… Uno spazio infinito, che si moltiplica all’infinito. E i dati possono confondere, dal momento che il web sforna articoli, video e immagini a un ritmo rapidissimo, aggiungendo nuovi dettagli alle notizie a distanza di pochi minuti. Blog, feed di Facebook, account Tumblr, Tweet e altri elementi di propaganda ripropongono, prendono in prestito e aggiungono aspetti nuovi allo stesso elemento.
Trump e il fenomeno politico che ha avviato negli ultimi 16 mesi hanno riproposto il difficile enigma dell’uovo e della gallina: è Trump che ha trasformato l’America, o l’ha semplicemente rivelata? Nel fine settimana Marc Fisher, un capo redattore del Washington Post, ha pubblicato sul blog:
La marcia di Trump di questo autunno “che fa terra bruciata” per la nomination repubblicana e oltre è forse la fusione ultima di intrattenimento e politica, un nuovo tipo di spettacolo volgare, ma affascinante, che sembra aver modificato il linguaggio della politica e approfondito le divisioni di una nazione già polarizzata. Ma si tratta di un momento particolare, legato esclusivamente alla personalità eccessiva di Trump e a una retorica infiammata, o si è introdotto nella cultura un nuovo virus di scontro e rabbia?
Pone una questione significativa: Trump ha garantito agli Americani la possibilità di esprimere un razzismo palese e nuovi livelli di acrimonia? Il mio amico del partito repubblicano (di cui ho parlato prima in questo articolo) ha detto di non vedere alcun segno del fatto che la retorica grezza sia una moda passeggera: “Più il linguaggio diventa volgare, più volgare rimane. Non si torna indietro. Non diventeremo improvvisamente educati e buoni gli uni verso gli altri”. Ha osservato che in diversi recenti gruppi di discussione il tono, in caso di disaccordo, si è inasprito fino al genere di attacchi che una volta avrebbero fatto calare il silenzio nella stanza. Ha detto che si è arrivati al punto in cui non si può più impedire alle persone di gridarsi contro a vicenda.
Hmmm… I costi più significativi che verrebbero da una vittoria di Trump, ma anche da una vittoria della Clinton. Più il margine di vittoria della Clinton sarà stretto, più sarà facile per Trump diffondere la calunnia di una vittoria elettorale rubata. Questo gli darebbe la possibilità di avere ancora più presa sui Repubblicani al Congresso. I legislatori reagiscono ai feedback dei loro distretti. Secondo il piano di Jefferson, la Camera è il posto in cui il collegamento tra eletti ed elettori è più “vivo”. Se la base di Trump è infiammata, i legislatori repubblicani ne prenderanno spunto. Inoltre, la maggior parte dei loro elettori crede già che la Clinton sia disonesta e corrotta. Quindi non ci vorrà molto ad avallare l’accusa di Trump che i Clinton sono un’”associazione a delinquere”.
E un Trump presidente? Situazione complessa. Soprattutto perché non siamo sicuri della composizione finale del Congresso. Il controllo della Camera da parte dei Repubblicani è un dato di fatto, grazie alla loro abilità nei “pacchetti di quartiere” e nei brogli, oltre ai cambiamenti demografici che su ampia scala hanno aiutato i Democratici, ma possono anche avere l’effetto immediato di disperdere i non-bianchi e i progressisti. A livello più locale, i gruppi conservatori concentrati nelle loro unità sociali ristrette, dominano ancora.
E come ha osservato Kyle Kondik nel suo recente libro “The Bellwether: Why Ohio Picks the President” (un vero pozzo di statistiche sulla demografia americana) abbiamo bisogno di capire i rapporti. In un post sul blog ha osservato:
“I Repubblicani in Senato sono spesso meno ideologici che alla Camera, perché le loro circoscrizioni elettorali sono molto più ampie – un intero stato (con varie opinioni) e non un singolo distretto (uniforme) e l’ampio pubblico simpatizza con gli immigranti, cosa di cui non c’è da stupirsi in un paese in cui quasi tutti vengono, in origine, da un’altra parte, molto spesso recentemente, solo due o tre generazioni fa. Wall Street e corporate America, desiderose di manodopera a basso costo come di talenti in fuga, approvano ugualmente l’apertura delle frontiere. Ryan, l’amico della “libera impresa”, anche. Quindi la questione diventa se un Trump presidente potrebbe diffidare il capo del Senato e della Camera e allearsi con una piccola banda di scocciatori di estrema destra, trascinando con sè una gran parte del “suo” pubblico, in una nazione già divisa che ora è agguerrita nella discordia interna. E’ possibile, ma se lui è il capo che ha promesso di essere, è più probabile che metta tutte le sue “arti” nella’ ”questione”.
E Trump dovrà affrontare una corsa ad ostacoli di controllo e bilanciamento che ha “disarcionato” predecessori con esperienza e aplomb molto maggiori dei suoi. Come ha osservato Sam Tanehaus (uno scrittore di politica americano per la testata britannica Prospect Magazine):
“Qualora Trump vacillasse, potrebbe essere facilmente ridotto a una figurina rabbiosa, una tigre di carta, svilendo l’autorità di una funzione che egli ha promesso di rafforzare.”
In una parola, per concludere: un governo sclerotico. L’America è alle prese con una strana forma di governo della minoranza, “la vetocrazia americana”, termine coniato dal politologo Francis Fukuyama nel suo libro del 2014 Political Order and Political Decay. Dice che tale condizione risale al primo mandato di Bill Clinton, nel 1993, quando arrivò alla carica con il proprio partito che aveva la maggioranza, ma venne arrestato nel suo programma da ostruzionisti repubblicani. La stessa cosa è successa a Obama. Con la prospettiva incombente di un Trump presidente, potrebbe essere la volta dei Democratici di fare ostruzionismo. Quello che pensano Fukuyama e Kyle Kondik (di cui ho citato l’opera sopra) è che si tratti di un gioco, ma con un risvolto ideologico. Di recente hanno scritto sugli stessi argomenti, quindi ecco un “misto” delle rispettive idee, con l’aggiunta di qualcosina di Tanehaus:
- Le differenze nelle tattiche legislative che i due partiti adottano spesso hanno meno a che vedere con l’ideologia che con i numeri. I Democratici parlano generosamente di maggioranza e alleanze. Si sa: il “l’unione fa la forza” di Hillary Clinton. Perché? Perché come dice Kondik hanno la schietta maggioranza del pubblico dalla loro parte.
- I Repubblicani Conservatori sono numericamente inferiori. Quindi l’ostruzionismo è il loro segno distintivo. Ecco perché i loro sostenitori hanno bloccato quella legge sull’immigrazione all’inizio di quest’anno. Come ha osservato Fukuyama in un post sul blog all’epoca sapevano che, se si fosse arrivati al voto, la legge sarebbe passata, sostenuta dai Democratici e da un numero sufficiente di Repubblicani moderati in stati come la California e il Colorado, dove c’è un ampio margine di popolazione ispanica. Le modifiche demografiche su larga scala aiutano i Democratici, ma possono anche avere l’effetto immediato di disperdere i non-bianchi e i progressisti. Nell’insieme il loro numero sta crescendo, e questo dà (dovrebbe dare) ai Democratici il vantaggio nelle elezioni presidenziali, in cui ognuno può votare e molti lo fanno. Ma a livello locale, i gruppi di conservatori concentrati nelle loro ristrette unità sociali, dominano ancora.
- Quello che Trump sembra avere colto, dice Tanenhaus – “per quanto Trump possa essere inadatto a ricoprire questo incarico” — è che gli elettori sentono la paralisi che ne deriva come un problema. Dice “in un’era iper-partigiana, guidata dall’ideologia, come la nostra, in cui ogni parte ha fame di qualsiasi boccone possa ottenere, l’America è alle prese con una strana forma di governo della minoranza”. E’ il concetto di “vetocrazia americana”di Fukuyama.
- Il governo della minoranza, quindi, è il significato reale del governo repubblicano nell’era moderna. Ma mentre questo sistema funziona per i legislatori, ha frustrato gli elettori, perché il risultato finale di queste manovre è che viene fatto molto poco. Basta guardare come è stato ritardato il reperimento dei fondi temporanei per combattere il virus Zika. anche quando il paese lo chiedeva a gran voce … per delle sciocche questioni sulla Pianificazione della genitorialità. L’ideologia ha reso quasi impossibile per il Congresso fare passare anche una nuova legge moderata sul controllo delle armi… di nuovo, nonostante l’appoggio del pubblico.
- Fukuyama: “E’ questo meccanismo bloccante di programmazione impopolare e processo antidemocratico che gli Americani hanno in mente quando dicono di odiare il governo. Non lo fanno davvero. Quello che odiano non è il principio del governo centralizzato, ma il suo ripetuto fallimento nel dare loro quello di cui hanno bisogno.”.
- Nel suo modo estremamente contorto, Trump promette che sarà stabilito un governo grande… solo che il governo sarà lui.
Il mio vecchio editore, John Lindell, mi diceva sempre: “quasi in tutti i libri che ho letto ( a parte quelli di cui sono stato editore) avrei voluto eliminare l’ultimo paragrafo. L’autore fa affermazioni profonde, definitive, spesso controverse in tutta la sua opera e poi finisce con un paragrafo alla Caspar Milquetoast”. John, in tua memoria, permettimi di concludere così:
Questa è stata la più strana elezione della storia moderna americana, e sembra non avere alcun tipo di consenso.
Tra 7 giorni gli USA arriveranno più vicini al suicidio di quanto siano mai stati dai tempi della Guerra di Secessione. Trump ha sollevato emozioni che strisciavano da sempre sotto la pelle culturale americana. L’avanzata della tecnologia ha peggiorato le cose. I capi politici americani non hanno colto il punto. Quelle “salde” voci americane di ragione, compassione, tolleranza, libertà, libera impresa, coraggio, forza e speranza ora hanno rivelato quello che sono sempre state…belle parole…che sono state soffocate dalle voci dell’odio.
Mettiamolo insieme all’assoluzione dei fratelli Bundy che mostra come i privilegi dei bianchi corrompano la giustizia in America, alle continue esecuzioni da parte della polizia ai danni dei neri, agli agguati contro i poliziotti e ai media USA che sono attivi complici della Russia nel manipolare le elezioni accettando le mail fasulle da WikiLeaks come una fonte legittima. … beh, Mefistofele deve esserne fiero.
Tutte queste emozioni non spariranno dopo l’8 Novembre, anzi, probabilmente, si inaspriranno ancora. Solo gli ingenui credono ancora che possano verificarsi cambiamenti significativi in uno scenario globale di generalizzata sovrappopolazione, guerre senza fine e abissi demografici. Per gli USA, il peggio deve ancora venire.
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